Cosa rimane dopo un’attività
Chi l’ha detto che il sabato deve essere per forza il giorno più bello della settimana?
Magari la giornata è iniziata male e proseguita peggio in un incastro di incombenze arretrate ed incidenti di percorso. Io, per fortuna, sono riuscito a preparare il mio pezzo di attività per la riunione di Branco/Cerchio. Dopo pranzo, faccio un bel respiro e indosso l’uniforme in una casa che avrebbe bisogno della mia presenza. E la sensazione che ho in petto è quella dell’apnea. Quando arrivo in sede, le facce degli altri capi non hanno un bel colore (cit. Faber) e mi ricordo di ringraziare il cielo perché è gennaio e non sono più studente di Ingegneria.
Ma Arcanda e Akela hanno gli esami e la tensione sui loro volti è piuttosto evidente.
Del resto, anche le coccinelle non è che brillino tutte d’allegria: anche loro hanno fatto una corsa per arrivare puntuali. Qualcuna di loro, un’ora fa, era ancora a scuola.
E non tutte le bambine hanno vite e trascorsi da pubblicità.
Così, quando Arcanda chiama il cerchio e chiede «come state?», a me verrebbe da rispondere «Arcanda, hai una domanda di riserva?».
Ma uno degli aspetti positivi del servizio è che, mentre lo fai, dimentichi i tuoi guai.
Guidata dall’impegno dei capi e di rover e scolte presi d’assalto degli L/C, piano piano, la speranza inizia a infiltrarsi attraverso la cappa della quotidianità.
Lo sapete, no? Un attimo prima pensi al mutuo e l’attimo dopo stai urlando mentre giochi a bulldozer e fai presto a fare la fine di Gulliver catturato dai lillipuziani.
Durante le attività la percezione della realtà cambia? O è la realtà del mondo che sto modificando proprio io, proprio lì? È come entrare in un mondo nuovo. Anzi, nel mondo che ci sforziamo tutti quanti di creare. Ed è respirando l’aria di quel mondo che, piano piano, ci si riempie i polmoni di felicità.
Le attività proseguono al ritmo serrato delle nostre scalette. Durante la Messa riprendo fiato ma lì è facile trovare un senso alla fatica della settimana e trovare un po’ di gioia in quella certezza che sorride dal Tabernacolo. Ma nemmeno in Chiesa ci si può distrarre dal dovere. Chi deve andare in bagno, poi le letture, l’offertorio, la preghiera dei fedeli, la bonaria repressione delle chiacchiere e poi tutte in fila dietro la lanterna senza dimenticare zuccotti, zainetti e canzonieri. E via di corsa sul sagrato, verso la Quercia. Ed eccoci qua: di nuovo in cerchio.
Ma è lo stesso cerchio di quattro ore fa? No. Nemmeno una faccia lunga. Le coccinelle sono allegre e si guardano, si parlano, complottano e progettano. I lupetti si trattengono a stento e, se solo potessero, tornerebbero subito a giocare nel prato dietro la chiesa. Ma non è solo una faccenda di bambine e bambini. Anche i rover e le scolte sono dello stesso identico umore (ri-cit.).
Ora Akela e Arcanda hanno un tono di voce ben diverso. I loro esami possono aspettare lunedì, o almeno domenica. Dal cerchio arrivano voci diverse accomunate da una sola nota.
Quella della felicità. Sì, non c’è da girarci attorno.
Le nostre attività coprono un ampio spettro: accendiamo fuochi, coloriamo, scriviamo, cantiamo, corriamo. Prendiamo la pioggia, il vento e l’umidità degli scantinati delle nostre sedi. Ed ecco: un’attività scout di un pomeriggio ha riunito persone di varie età: dagli otto ai, ehm, quarantanove.
Ci siamo messi in cerchio con la luce del sole, ciascuno con il suo carico di problemi e stati d’animo. Ci siamo ritrovati in cerchio nella notte di gennaio della pianura Padana, ciascuno con il suo raccolto di felicità. Al bim bum crack le bambine si fiondano verso i genitori in abbracci contagiosi di gioia.
E noi? Noi capi, noi adulti e persino noi R/S. Noi indugiamo. Non a lungo, perché gli impegni del sabato sera incombono e anche divertirsi è diventato un dovere. Ma abbastanza per capire che non si vorrebbe andar via da lì, da quel luogo e quel tempo in cui il servizio, proprio il nostro, ha generato felicità pura e incontrovertibile. Facciamo due chiacchiere, ci guardiamo tutti un’ultima volta e ci avviamo verso casa ma è già nostalgia di momenti preziosi, eppure così comuni perché, pensiamoci: ci capitano spesso.
Spesso? Tutte le volte che abbiamo fatto del nostro meglio nel servizio.
La felicità è il nostro frutto.
Il nostro lascito.
[Foto dell’Autore]
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