Così salda e radicata, con un respiro di umanità
La stanchezza le aveva scurito il viso e allentato i passi, il fiato corto della fatica stava diventando la misura della salita che sembrava non finire, ho sentito i suoi pensieri appesantirsi e i suoi occhi abbassarsi, sempre più. L’ho affiancata: una battuta, un gesto gentile, un incoraggiamento, del resto siamo fatte della stessa fatica tu e io. Ed è ciò che rende questo nostro camminare insieme così autentico.
Qualche passo più avanti mi racconta di come fosse tornata “distrutta” dalla sua prima route invernale, pochi mesi prima. Ma di come quella sera, nella sua cameretta, avesse sentito tra le lacrime che sebbene sulla strada avesse fatto tanta fatica, non avrebbe voluto essere in nessun altro posto. E con questa consapevolezza stava affrontando la sua seconda route, a Pasqua. «Perché sulla strada mi sento felice». E mentre lo scrivo, ripenso alla sua voce limpida e spontanea di quel momento, quando ho davvero pensato che la strada aveva compiuto la sua magia un’altra volta, anche in lei e nei suoi 16 anni.
«Sulla strada mi sento felice». Così felice che ne vale la pena, nonostante la fatica (o forse anche per quella). Io non so quanto siamo felici sulle strade che percorriamo, non so quanto siamo felici nel nostro servizio, nel nostro lavoro, nei nostri studi, nelle nostre relazioni. So che a volte la fatica prevale e sembra assorbire il resto, soprattutto la felicità con cui un giorno abbiamo detto sì. Ci ho ripensato il 4 maggio, quando l’aria si è riempita delle parole della Promessa in tutta Italia. Quando ci siamo ricordati, insieme, di come siamo chiamati a fare il nostro meglio per compiere il nostro dovere verso Dio e verso il nostro Paese. Mi piacerebbe ascoltare cosa secondo noi significhi compiere il proprio dovere verso Dio e verso il proprio Paese, come lo facciamo quotidianamente, che persone siamo alla luce di questo impegno.
Mi ha sempre appassionata l’etimologia della parola “promettere”, composta da pro- e mĭttĕre e dunque “mandare avanti”. Perché è il bello della Promessa: non so cosa succederà nella mia vita, quale disegno c’è per me, quanti saranno i miei giorni e che sfumature avranno, ma so che farò del mio meglio per rispondere alla mia vocazione, per non lasciar muto l’appello, per essere gesto d’Amore (non è poi forse compiere il proprio dovere, questo?). La Promessa è promessa di felicità per noi e per le persone che incontreremo e ha in sé la speranza del futuro.
Aiutare gli altri in ogni circostanza, ovvero farci servi perché non lo siamo da principio, ma dobbiamo imparare a diventarlo. E lo facciamo un passo alla volta: dal primo Eccomi a 8 anni fino al Sì, parto finale. Farci servi nei confronti di Dio e del Paese, di questo nostro mondo, dell’umanità che lo abita, con le sue fragilità, i suoi orrori, le sue brutture, le sue cicatrici.
La Promessa è determinata, salda, radicata, ma si apre con un respiro di umanità: con l’aiuto di Dio. E ancora una volta ci ricorda che non siamo noi il centro, che abbiamo scelto perché chiamati, che siamo la risposta e non l’origine della domanda. Che siamo occasione per far sentire gli altri amati, per posare lo sguardo dove di solito scivola via, per costruire e custodire bellezza, ma che abbiamo bisogno di tornare a quell’Amore che abbiamo incontrato – fosse anche solo intuito – perché da soli ci consumeremmo senza aver illuminato e scaldato davvero.
Che ci accompagni la nostra Promessa
nei giochi che inventeremo
nelle corse nei prati al sole di primavera
nelle scie di tempera di mani bambine
sugli alberi su cui ci arrampicheremo
negli insetti che osserveremo con gli occhi curiosi
sulle cime che raggiungeremo
nelle tende in cui troveremo riposo
nei valligiani che incontreremo
nel Vangelo in cui ci riconosceremo
nel fuoco di bivacco che si alzerà al cielo
nelle costruzioni che si faranno casa
nei torrenti in cui faremo il bagno
negli urli di squadriglia che esigeranno vita
nella gavetta che condivideremo
nelle preghiere che diventeranno voce
nelle parole che non sapremo dire
nelle scuse che faticheremo a fare
nei litigi che non sapremo contenere
nelle lacrime che ci sorprenderanno silenti
nello sconforto della solitudine
nell’inadeguatezza sempre pronta
negli abbracci in cui ci chiuderemo sicuri
nella natura che ci accoglierà essenziale
nelle mani che si stringeranno salde
nell’amore che riconosceremo. Sempre.
Saranno strade in cui sentirci felici.
[Foto di Nicola Cavallotti]
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