Scoprire la nostra strada, oltre qualsiasi definizione
Abbiamo iniziato il nostro viaggio per capire cosa è la felicità, quale è il suo significato, dove diventa gioia, dove emozione, dove beatitudine, quando arriva, come cresce, se è altalenante e se può finire. Siamo andati alla ricerca di possibili definizioni frugando nel mare di canzoni, libri, poesie, filosofie e specifici neurotrasmettitori, accompagnati dal terrore di dire cose banali, ripetitive o scontate.
Mi ha personalmente messa in crisi questa estate l’incontro con don Gigi, quando gli ho raccontato del tema scelto dall’Agesci per la Ruote nazionale delle Comunità capi 2024 e lui ha contestato la scelta del termine felicità, dicendomi che sarebbe stato più centrato parlare di gioia. Mi sono allora chiesta se: gioia è un concetto più completo? Felicità è il parente povero dell’altro termine? Le parole sono una matriosca dell’altra? Se fosse così, chi contiene chi? In realtà la sua provocazione mi ha aiutato a cercare nel vissuto ed a capire che questo tema può tenere dentro il tutto ed il niente, perché la felicità non si può de-finire, cioè non la si può finire dentro dei confini, non può esserci un’unica espressione semantica o un’unica condizione che la descriva. «Se non riusciamo a definirla non dobbiamo spaventarci», ci diceva la nostra amica scout e docente di filosofia Gabriella De Mita in un incontro formativo fatto con lei per prepararci a questo numero, «perché essa è una condizione della nostra vita, non delimitabile, e dipende da come ognuno si lascia attraversare da flussi di esperienze». Questo è molto interessante ed associa alla felicità, che rappresenta già una condizione di per sé positiva, anche la libertà di definirla, cosa ancora più entusiasmante. Le parole che la descrivono vanno allora tutte bene e l’abbecedario delle definizioni può arricchirsi di infinite possibilità legate al momento in cui la felicità ci attraversa; siamo noi che le diamo vita, volontà ed espressione. Risolto dunque il problema della definizione mi sembra che essa si connoti di caratteristiche apparentemente opposte; la felicità è soggettiva e oggettiva al tempo stesso: soggettiva se la collego a come io mi faccio attraversare dai flussi di esperienza; oggettiva perché in ogni momento della vita si propone come un crogiolo di molteplici possibilità; ha caratteristiche di infinito, come le illimitate situazioni alle quali io mio devo aprire ed alle quali devo educare i ragazzi; ma anche di finito se la collochiamo in un progetto che Dio ha per noi. A tale proposito il nostro don Tonino dice: «Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. È l’unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l’uomo». È un concetto magico di finito perché si compie e si manifesta dentro il desiderio che un Dio-Infinito ha per noi. Mi immagino sta roba come una sorta di libero arbitrio della felicità: ogni giorno possiamo scegliere se vivere di auto condizionamenti, se percorrere le vie dell’omologazione, adottando come nostre le esperienze di felicità altrui o lasciandoci andare a una felicità tutta nostra che ci sorprenda e che ci superi. Attenzione non sto dicendo che la felicità si alimenti per forza nel bisogno di distinguersi dagli altri, potrei essere super felice anche scegliendo qualcosa che è uguale, è in comune ad un gruppo, ma due sono i requisiti irrinunciabili di questa scelta:
– avere consapevolezza che puntiamo a una felicità che non passa, Il vangelo di Luca dice: «Passeranno i cieli e passerà la terra, la Sua Parola non passerà»
– che io sia protagonista attivo e non soggetto al traino perché mi sto giocando la mia vocazione
Dio ha un progetto di felicità per ciascuno, dobbiamo vivere l’avventura di scoprire quale sia e solo allora perseguendo la nostra personale, unica, felicità diverremo ingranaggio di una società felice, di una famiglia felice di una Comunità capi felice. Quanta gioia proviene a ciascuno di noi dal servizio che la Comunità capi ci ha affidato, quante volte ci scopriamo a ricevere grazia mentre pensavamo di essere lì solo per donarci, quante volte la Comunità capi è l’unico luogo dove siamo liberi di condividere utopie di felicità per il mondo, l’ambiente, la politica? Ripercorro istantanee della mia vita di Comunità capi dell’ultimo anno: seduti in un pub a decidere del colore del nuovo fazzolettone del Bari WOW, davanti a Gesù per affidargli la preoccupazione per Nico e le sue bambine, marinai valorosi nel mare di Ginosa Marina con un equipaggio di pochi L/C, E/G, R/S e di tante meduse; e mi accorgo che nell’ingrandimento dei volti in queste foto compaiono capi e ragazzi felici, direi quasi trasfigurati.
[Foto di Andrea Pellegrini]
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