E tu cosa pensi di quelli che si dicono felici?

di Valeria Leone

«E tu cosa pensi di quelli che si dicono felici?».

La domanda nasce dritta, quando la strada è ormai in discesa e l’aria piovosa e fredda di gennaio si è fatta frizzante perché la tappa è finita e si intravede la parrocchia che ci ospiterà per la notte.

«Che sono stolti», la risposta arriva ancora più dritta, definitiva come sanno essere le idee a vent’anni.

E proprio perché hanno quel profilo di assoluto vanno prese ancora di più sul serio.

«Io sono felice».

Mezzo sorriso, silenzio. Di chi forse non sa se lo stai dicendo apposta per vedere l’effetto che fa o di chi non se lo aspettava.

«Forse a un certo punto si impara a custodire quella scintilla di felicità che ci abita nel cuore, a lasciare che guidi le nostre scelte e i nostri passi; a lasciare che non sia

offuscata dal male del mondo, dalla violenza, dalle fatiche, dal vuoto che a volte ci prende fin dentro lo stomaco. Forse a un certo punto si fa pace con il fatto che non

possiamo salvare il mondo, ma che possiamo essere a servizio di chi ci incontra, che possiamo costruire una rivoluzione gentile quotidiana, che possiamo fare la differenza

nei contesti che abitiamo, piccoli per quanto sono. Forse a un certo punto sentiamo che è questo ciò a cui siamo chiamati, senza dimenticare di fare quel che possiamo

per le realtà che ci interrogano come umanità. Forse a un certo punto impariamo a essere felici nonostante».

La conversazione si è spostata all’interno, tra copri zaini bagnati, scarponi ad asciugare, persone che cercano i fornellini per fare il tè, qualcuno che si è già seduto

al pianoforte con gli altri attorno a cantare. E si è chiusa con un abbraccio, com’è bello che si chiudano le cose importanti.

Ci ripenso spesso a quella conversazione, ci ripenso nei giorni più faticosi e nei giorni di calma apparente, quando le cose sembrano essere tutte al loro posto. E quella

risposta, così definitiva, non smette di interrogarmi. Chissà se le persone felici sono in fondo solo ingenue.

Ma vorrei tenerla stretta la mia felicità ingenua, perché è la felicità ordinaria, che si muove a passi leggeri nei giorni che scorrono fluidi, quella che mi fa scegliere ogni

giorno una cosa per cui essere grata. E vorrei lo facessi anche tu, vorrei lo faceste anche voi, vorrei lo facessimo sempre.

E allora sono stata felice quando vi ho visti la prima volta, una sera di ottobre, alla luce di una lanterna.

Sono felice quando uno zaino passa di braccia in braccia per alleviare la strada di chi sta facendo più fatica.

Sono felice quando mi prendete in giro che c’è un nuovo gioco da imparare che tanto non capirò.

Sono felice quando cuciniamo insieme, ai margini di un sentiero, su pavimenti freddi, su tavoli traballanti e dovunque sia c’è quella scanzonata aria familiare.

Sono felice quando condividete qualcosa che vi emoziona, quando scegliamo le parole, quando chiamiamo le emozioni per nome.

Sono felice quando la vostra voce vibra di tutta la rabbia e l’indignazione che avete nella pelle.

Sono felice quando vi raccontate con fiducia e misura, che le cose preziose vanno dischiuse con cura.

Sono felice quando ci sorprende la natura e la accarezziamo con uno sguardo di gratitudine.

Sono felice quando cantate, quando facciamo le parole crociate, quando improvvisate coreografie, quando ridete e vi si spalancano gli occhi a dimenticare tutto il “male di

vivere” che c’è.

Sono felice quando vi guardo camminare, così fragili così forti. Quando proviamo ad ascoltare, quando proviamo a pregare, quando sappiamo dire sì.

Sono felice quando vi interroga ciò che ci accade intorno, quando scegliete di essere a servizio della realtà che chiama, quando sognate qualcosa di bello per la vostra vita e

immaginate i passi per arrivarci.

Sono felice quando vi riscoprite cambiati, vi sentite cresciuti, vi sentite chiamati, vi sentite importanti.

Sono felice quando penso che abitate le strade del mondo, che siete il prossimo di qualcuno, che non starete troppo comodi – spero mai.

Sono felice quando posso guardarvi, ascoltarvi, ritrovarvi in un abbraccio.

E sarò felice a quel Buona Strada quando sarà l’ultimo, perché avrete l’Amore tra le mani, nei piedi, nella testa e nel cuore e la possibilità di custodirlo.

[Foto di Andrea Pellegrini]

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