Come è fare servizio in due ai vertici associativi? Abbiamo voluto chiederlo alla Capo Guida (Rosanna Birollo) e al Capo Scout (Ferri Cormio).
A noi sembra che non sia molto diverso dal fare i capi in un’unità… voi che ne dite?
Due è meglio di uno, o no?
Capo Guida: Certo! Come dice il detto”uno fa per uno, due fa per quattro”…
Capo Scout: Due è più complicato di uno, ma è molto più bello. L’altro ti mette in crisi ma ti costringe a pensare, ti toglie spazio, ma ti apre orizzonti, la sfida vera e’ sempre con te stesso, ma l’altro aiuta.
Maschio e femmina Dio li creò: due sì ma di sesso diverso, è ancora una scelta valida?
C.G: Le sensibilità e le indoli maschile e femminile che si completano nella loro complementarietà: questa è la grande forza, che per noi in AGESCI è un valore, della diarchia: un valore, deve essere chiaro, per la ricchezza derivante non tanto dalla moltiplicazione delle forze in campo, comunque importante, ma dall’unione delle diversità.
C.S: La differenza tra maschi e femmina non l’abbiamo scelta, ci è stata donata. È una differenza che come tante genera, ma quella tra maschio e femmina genera la vita, che è sicuramente la priorità dell’umano. Negare questa naturale ed evidente priorità ci porterebbe poi ad affermare un indistinto egualitarismo a cui non intendiamo cedere.
Essere in due e magari con visioni diverse sulle questioni che si pongono, non rischia di appesantire e rallentare tutti i processi?
C.G: Innanzitutto essere capi AGESCI implica in partenza avere fatto delle scelte valoriali (il Patto associativo) in cui ci riconosciamo e che ci fanno camminare su una strada comune.
Può succedere che nella quotidianità la necessità del confronto e della condivisione allunghi i tempi dei processi. Ciò tuttavia va a vantaggio del più completo e sfaccettato discernimento rispetto alle azioni da intraprendere, punto fondamentale in educazione.
C.S: A volte l’efficientismo non si accorda con la qualità delle relazioni; la ricerca della performance nel campo educativo e nella relazione tra persone, e poi tra sessi, a volte ci allontana dalla costruzione di un cambiamento. Il confronto continuo, il bisogno di un alter, è condizione indispensabile per raggiungere il bene e il bello, i tempi brevi e a volte vuoti, li lasciamo ad altri .
E quando non si va d’accordo?
C.G: Mi ripeto: quando si sceglie di fare il capo in AGESCI ci si pone già in partenza su una strada comune che dovrebbe avere davanti a sé un percorso già spianato. A volte si possono ugualmente frapporre degli ostacoli nel nostro servizio e l’incontro di caratteri diversi può essere uno di questi: l’incontro si può trasformare, ahimè, in scontro. A questo punto la maturità delle persone e il senso di responsabilità devono avere il sopravvento. Ci deve essere da parte di tutti uno sforzo per superare le problematiche per un bene superiore, che è il fine del nostro servizio.
C.S: È proprio allora che si sperimenta l’esperienza del limite, a volte del fallimento. Un esperienza a cui dobbiamo allenarci, perché sempre più spesso assistiamo a relazioni spezzate tra capì come fra coniugi, che sono frutto proprio dell’ incapacità di accettare la dimensione della sconfitta. Stare insieme non significa essere sempre d’accordo. Solo gli stupidi vanno sempre d’accordo con tutti. Il confronto, a volte lo scontro vivace, generano idee nuove.
Il ricordo di una difficoltà
C.G: Nessuna di così rilevante da essere insuperabile.
C.S: Nella mia esperienza di capo clan, la strada è stato il luogo in cui più pesantemente ho incontrato la differenza che mi ha fatto crescere. La fatica, la possibilità di superala, la caparbietà o la rassegnazione: una bella sfida. Come al solito, è sempre l’esperienza della strada che risolve il conflitto.
Quando essere stati in due, uomo e donna ha fatto la differenza
C.G: Sempre.
C.S: Oltre che nella mia esperienza di padre a fianco ad una madre per educare i nostri figli, posso dire anch’io che in Associazione ho sempre sofferto quando al mio fianco mancava una donna, a volte per problemi organizzativi, familiari o di lavoro. La chiacchiera al campo scuola, o la preparazione della veglia o dell’uscita, fatta insieme, era la differenza.
Un ricordo che ti fa ancora sorridere
C.G: Non essere considerata alla pari del partner maschile. Succede raramente, ma talvolta capita. E la cosa è così imbarazzante per chi si ostina a non riconoscere la “diarchia”, che da parte mia non può suscitare altro che un semplice sorriso.
C.S: Quando ad un campo di reparto lungo un sentiero ripido per raggiungere il campo, con zaini pesanti, ho dovuto assistere una guida dodicenne affaticata che in quel momento aveva bisogno solo ed esclusivamente di una donna, possibilmente la sua mamma. Ma in quel momento c’ero solo io. Mi sono fatto piccolo piccolo, e in qualche modo sono riuscito a calmarla in attesa della capo reparto. Sono stati i momenti più drammatici della mia esperienza scout, a distanza di tempo anche quelli che un po’ mi fanno sorridere pensando al mio imbarazzo.
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