DIMMI CHE FORMA HA LA TUA COMUNITÀ

di Vincenzo Pipitone

Rombo, un po’ matta e traballante
Quadrato, salda, tutta d’un pezzo
Triangolo, con una chiara (unica?) direzione
Ellisse, cerchio…

«Ma per giocare al meglio questo gioco della vita e fare in modo che sia una partita mai finita, è logico, si può giocare solamente insieme per generare forme sempre nuove e sempre piene»
(Paolo Favotti, Tangram – canzone ufficiale RN24)

Durante il primo incontro di Zona per tirocinanti, l’incaricata alla Formazione capi propone, insieme all’assistente ecclesiastico, due gesti. Il primo: viene chiesto ai capi gruppo di accompagnare sul luogo dell’incontro i propri tirocinanti. Poi, il secondo momento. Raccolti in silenzio, seduti in cerchio nella cappellina del santuario, si ascolta: «Dunque, se io, Signore e Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri» (Giovanni 13, 14). Il prete lava i piedi ai capi gruppo e poi invita questi a fare lo stesso ai loro tirocinanti; infine, i capi gruppo salutano. Al momento di andare via, la mia attenzione ricade sui capi dello stesso gruppo che, formando un cerchio, si abbracciano (per capirci, come fanno le squadre prima di iniziare la partita): la capo gruppo piange, il capo gruppo piange, figuratevi i nuovi capi…; e con frasi di vera amicizia, gesti di affetto, di cura e attenzione, i due lasciano il luogo.

Ci ritorneremo, consentitemi prima di sviare un po’.
La psicologia delle forme insegna che «la figura preferita può raccontarci quali sono i tratti caratteristici di una persona». E se volessimo (“mutate le cose che sono da mutarsi”) dare una forma alle nostre Comunità capi, che forma avrebbe? Quella di un rombo, un po’ matta, traballante, anarchica. Oppure quella di un quadrato, compatta, salda, tutta d’un pezzo. Quella di un triangolo, con una chiara (unica?) direzione. O addirittura di un’ellisse, affidabile, coscienziosa. Direi un po’ tutte, dai! La Comunità capi è uno status, un piccolo “ecosistema” che va coltivato; vivere la Comunità capi è un sentiero tortuoso, ma pur sempre attraente, teso a costruire… strade di felicità.

Non è mia intenzione mettere in dubbio l’impegno e la dedizione delle Comunità capi: in molti gruppi (la maggior parte, per fortuna) non si bighellona, ci si impegna con metodo, si tralasciano i discorsi perditempo, si curano i rapporti; è chiaro cosa si intende fare, come si può fare e ciò per cui siamo chiamati. Eppure, a me certe frasi su Comunità capi e amicizia, la rarefazione degli incontri (sia in Comunità capi, sia in staff), l’assenza dello stile progettuale, mettono tristezza e probabilmente mal celano una certa assenza di ardore. Costruire la felicità è un percorso, un desiderio che necessita, innanzitutto, di relazioni significative, dono di sé, imparare a conoscersi, connessioni profonde, sostegno, benessere, empatia, senso di appartenenza, coinvolgimento, condivisione piena di esperienze (non solo di valori), progetti, programmi. Investire tempo ed energia nella ricerca della felicità in Comunità Capi, nel favorire pensieri positivi, è decisivo, è l’ingrediente chiave. La felicità è contagiosa: capi felici, Comunità capi felici, staff felici, bambini e ragazzi felici.
Non so se dietro quell’immagine dei capi abbracciati ci siano tutti gli ingredienti. Non so se tra le buone intenzioni e la quotidianità di quel gruppo ci sia un solco, ma a me piace pensare che sia quantomeno un buon inizio; che certamente quel gruppo ha ben in mente che la felicità si costruisce attraverso l’incontro; che la serenità nelle relazioni è il lievito; che certamente nulla (progetti, programmi, metodo) sarà utile se viziato dalla stanchezza dei rapporti.

Papa Francesco, in una delle sue omelie sulle beatitudini, mette in guardia dalle antibeatitudini e tra queste «l’orgoglio che è la sazietà, le risate che chiudono il cuore. Le beatitudini invece sono il cammino, sono la guida per il cammino che ci porta al regno di Dio; ce n’è una che, non dico sia la chiave, ma ci fa pensare tanto: Beati i miti. Proprio la mitezza è un modo di essere che ci avvicina tanto a Gesù. Invece l’atteggiamento contrario procura sempre le inimicizie, le guerre e tante cose brutte che succedono».

Allora probabilmente un cerchio, un abbraccio, uno sguardo, un sostegno, “una pizza in compagnia…”, valgono molto: ci parlano di persone su cui contare, che comprendono la nostra umanità, ci parlano di mitezza, di beatitudine; tutto il resto viene dopo.

[Foto Roma 100]

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