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Aveva ventiquattro anni ed era inverno. Francesco d’Assisi, figlio di Pietro di Bernardone e di Madonna Pica, si spoglia delle sue vesti, rimane nudo davanti alla famiglia e alla Chiesa. Di fronte allo scandalo dei poveri, malati ed emarginati, si libera della sua condizione di ricco, per indossare un saio e vivere di provvidenza. Un gesto semplice che ha aperto una rivoluzione nella Chiesa e nella società che agisce e si manifesta ancora oggi. Anche nella Assisi del 1206 le questioni erano complesse e richiedevano risposte globali. Guerra, fame, lebbra erano sfide difficili da comprendere, fuori dalla portata della singola persona. Francesco guarda dritto in faccia la contraddizione del suo tempo, ne soffre, si riconosce parte dell’ingiustizia che stritola i più deboli e sceglie come prima risposta la semplicità di un gesto: togliersi i vestiti. Un cammino semplice, che lo porterà a desiderare la fraternità e ad accogliere la santità. La semplicità di Francesco non ha nulla di facile: richiama alla necessità di radicalità e di Verità, chiede di compromettersi individualmente per costruire una comunità nuova. La sua Preghiera semplice ancora oggi indica la strada per affrontare i mali di sempre: l’amore per sconfiggere l’odio, il perdono al posto dell’offesa, l’unione dove c’è discordia, la fede per contrastare il dubbio, la speranza invece della disperazione. Tutto questo è semplice: richiede una – si, solo una – scelta di fondo, che interroga e chiama ognuno di noi. Tre mosse per abitare la complessità Anche oggi viviamo in un tempo complesso: sono molti i fattori che compongono la realtà, siamo esposti a innumerevoli stimoli, immersi nelle infinite rappresentazioni. Corriamo davvero il rischio di rimanere distratti e immobili di fronte ai cambiamenti. La complessità tutta insieme rischia di lasciarci attoniti e immobili, nella percezione di impotenza. La tentazione è di pensare che il mondo sia troppo difficile da cambiare e che sia quindi necessario imparare ad adattarsi. Prima mossa Osservare la complessità Il primo atteggiamento che possiamo adottare è quello rimanere in osservazione della complessità, senza distogliere lo sguardo: provare a vedere quello che accade intorno a noi, alle persone vicine, quello che sentiamo in relazione alle situazioni che viviamo, ascoltando e lasciandoci interrogare dalle contraddizioni di cui siamo parte. Osservare e ascoltare per non rimanere indifferenti. La via di fuga, la frammentazione e la banalizzazione della realtà, ci è offerta quotidianamente e potrebbe essere apparentemente la posizione più comoda, imboccando così il vicolo cieco della rinuncia e della delega agli altri. A ognuno di noi è chiesto di non disertare la complessità, ma di osservarla attivamente per conoscerla. Seconda mossa Dedurre la propria domanda Circondati da molte domande, possiamo reagire con una semplice deduzione: la complessità ci riguarda, perché ne siamo parte. Tra l’impotenza di chi dice di non poter fare nulla e l’onnipotenza di chi pensa di poter fare tutto da solo, c’è in mezzo una prateria di azioni possibili. Singole azioni semplici e personali. Proviamo quindi a non complicare la complessità e ci mettiamo alla ricerca di una sintesi, una domanda, generatrice delle molte domande: una domanda che mi chiama perché mi inquieta. È la mia domanda. Terza mossa Agire con azioni semplici Agire nella complessità richiede azioni semplici. La prima azione semplice, declinata al singolare, è “togliermi i vestiti”: mi apro a una relazione vera e profonda, mi espongo in prima persona e prendo posizione. Di fronte a un’ingiustizia, a un dolore, a una povertà, mi colloco accanto, nelle forme e nei modi che mi sono più propri. Mi comprometto.
Lo impariamo da piccoli che il mondo si cambia con la Buona azione. Non metaforicamente o per il gusto di una pedagogia della bontà, ma perché sappiamo che in un gesto semplice e concreto c’è la scintilla che muove il cambiamento. Il mondo può diventare migliore grazie a una serie di azioni semplici, fatte nel proprio quartiere, nel proprio paese, nella propria parrocchia. Nelle nostre unità. Azioni semplici, essenziali, che ascoltano la domanda fondamentale dell’altro. La risposta alla complessità si compone allora di azioni semplici, personali ma non solitarie, perché nessuno si salva da solo. La scelta di servire e di accogliere l’altro “in ogni circostanza” è la prospettiva “politica” che lo scautismo ci propone. Una sfida per l’educazione Educare nel tempo della complessità richiede capacità di lettura e di sintesi, per decifrare i messaggi in codice che riceviamo continuamente. Occorre dotarsi di strumenti culturali e relazionali in grado di sintonizzarci con il centro delle questioni, quelle che ne svelano il senso profondo, senza farci distrarre dalle sollecitazioni periferiche. La relazione educativa presuppone innanzitutto accoglienza e capacità di sostenere le contraddizioni, dando cittadinanza presso di sé agli altri e all’altro. Emerge quella che ci sembra oggi una delle principali sfide dell’educazione: aiutare le ragazze e i ragazzi ad attrezzarsi per affrontare problematiche complesse, cercando di agire una serie di risposte personali chiare, semplici e concrete, mai facili o banali; che costruiscono comunità aperte, capaci di trasformarsi e di trasformare il proprio territorio. È semplice: come il “per sempre” della nostra Promessa.
[Foto di Nicola Cavallotti]
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