Trattare delle relazioni affettive dei giovani è piuttosto difficile per varie ragioni.Si tratta anzitutto di una sfera molto intima e personale e che poco si presta a dellegeneralizzazioni sociologiche. Inoltre, specie in ambito cattolico si adotta sovente un punto divista sbrigativo e piuttosto moralistico. Si propone ad esempio l’idea che ai giovani manchino “ivalori”, che essi si lascino plasmare da un clima culturale relativista, materialista e cinico. Ovvioriconoscere l’influsso di questo clima culturale, ma altrettanto inevitabile considerare la fatica dellaricerca da parte delle giovani generazioni che, in questo, non appaiono diverse da quelle che lehanno precedute. In questo articolo, di taglio fenomenologico, cerco di offrire alcune riflessioniche possano essere utili a degli educatori.Due aspetti, apparentemente contradditori, vengono segnalati dalle ricerche: il primo riguardal’importanza che i giovani attribuiscono alle relazioni affettive, il secondo riguarda la profondatrasformazione dei comportamenti in campo sentimentale e sessuale.I valori della sfera affettiva risultano fondamentali per i giovani, molto più di quelli legati alladimensione materiale (un buon lavoro o dei soldi). Circa i comportamenti, si registra la tendenza aprocrastinare le scelte, a scansionarle nel tempo e a non ritualizzarle (il matrimonio si celebra dopoun periodo di convivenza o anche dopo la nascita del primo figlio) e la divisione netta che sistabilisce tra relazioni sentimentali e sessuali. Una divisione dimostrata anche dalla evoluzione dellinguaggio: si è infatti passati dalla espressione “fare l’amore” al più crudo “fare sesso”.Il contesto culturale nel quale crescono i nostri giovani è il risultato di quella rivoluzione deicostumi e delle istituzioni (in specifico, la famiglia) avviata dalla fine degli anni Sessanta. Alcuniaspetti sono oggi del tutto acquisiti: ad esempio la concezione paritaria del rapporto tra uomo edonna. Anche se l’Europa nordica ritiene che il mondo mediterraneo mantenga forti elementi dimaschilismo, non v’è dubbio che nei giovani si sia affermata la convinzione della assolutauguaglianza dei generi. Una convinzione consolidata dalla pratica della coeducazione (nella qualel’Agesci è stata pioniera) e dal principio della emancipazione. Se all’epoca delle nostre madri ononne, quello della casalinga (vale a dire moglie, madre e organizzatrice della vita domestica)poteva essere un orizzonte legittimo e “di senso”, oggi tende ad essere rifiutato in nome dellarealizzazione personale. E dunque, l’uomo considererà normale l’autonomia economica della suacompagna, ritenendo impensabile l’idea di doversi assumere il suo mantenimento. Non èinfrequente, ad esempio, osservare coppie giovani conviventi che mantengono separata la propriaeconomia. Se mettiamo in relazione questi aspetti culturali col sistema organizzativo della societàcomplessa nella quale è il welfare ad assumersi il compito di tutelare le persone, possiamo bencomprendere come il matrimonio non venga più considerato sotto il profilo della istituzione (unaistituzione che, nei secoli, ha protetto la donna e i bambini richiedendo in cambio un ruolo attivo el’adesione a dei valori morali).Viene invece sopravvalutata la dimensione della relazione affettiva, sulla quale si sviluppa un forteinvestimento emotivo: basterebbe, ad esempio, analizzare il linguaggio delle riviste di gossip, deiromanzi popolari e dei talk show televisivi che si occupano di questi argomenti per renderseneconto. La relazione affettiva è sentita come totalizzante e coinvolgente, viene giustificata solo semantiene un alto livello di gratificazione emotiva e di complicità interpersonale. Mentre un tempo(in società non occidentali accade ancora) gli uomini e le donne non condividevano tutti gli spazi etutti i momenti della vita (il bar, ad esempio, era lo spazio degli uomini, vietato alle donne) oggi lacoppia legata da relazioni sentimentali pensa di dover “condividere” qualsiasi cosa. L’amore èinteso come una sorta di “fusione” emotiva e sessuale col partner ed è questa condizione adeterminare la “qualità” della relazione stessa e la sua durata. E dunque, quando tale trasporto etale gratificazione vengono meno o si appannano, si ritiene che il rapporto debba concludersi o sia“in crisi”. Si tratta, dunque, non di una sottovalutazione della relazione affettiva, quanto piuttostodi una concezione poco realistica perché poggia su una visione istintuale e “romantica” delrapporto affettivo. Inoltre, nella misura in cui si è fortemente allargato l’ambito del privato, è quasi del tutto caduta ladimensione rituale. Non si ritiene, ad esempio, che le relazioni interpersonali riguardino lacomunità: il fidanzamento, come tappa ritualizzata, è scomparso e spesso, anche chi si sposapubblicamente privilegia la dimensione emotiva (quando non esibizionistica) mentre non valorizzail rito come momento per ufficializzare la propria scelta di vita.La trasformazione culturale ha portato con sé una maniera del tutto nuova di vedere la sessualità.Questa non viene più necessariamente legata alla riproduzione e, in realtà, neppure alla relazioneinterpersonale: è piuttosto interpretata come una dimensione della propria individualità,assumendo carattere “espressivo”. Un pensiero abbastanza diffuso la lega alla dimensioneistintuale (il sesso come “bisogno” derivato dalla nostra configurazione biologica e, in quanto tale,sottratto al giudizio morale). “Fare sesso” dunque, sarebbe il sintomo di salute biologica, oaddirittura l’espressione precisa di un proprio “diritto” (si parla, ad esempio, del diritto deglihandicappati alla vita sessuale) mentre sembra scomparsa l’idea che l’esercizio della sessualità sialegittimo solo entro una relazione stabile e formalizzata. Dunque il comportamento sessuale puòessere distinto da quello affettivo (ciò non significa, ovviamente, che lo sarà sempre) e l’avererapporti sessuali con una persona non sempre comporta l’avere con lei una relazione affettiva.In questa mentalità c’è spazio anche per una dimensione “competitiva”: si fa sesso per dimostrarsicapaci, e si parla apertamente di “performances”. L’idea del sesso come “espressione” individuale,infine, ha il suo corollario nella convinzione che la scelta sessuale riguardi anche il genere.L’omosessualità è concepita come una delle possibili scelte del singolo, non come una devianza ouna malattia. La progettazione individuale si estende anche alla sfera biologica. Si leggano adesempio, le recenti dichiarazioni di Umberto Veronesi, il celebre oncologo, il quale ritiene che sistia andando verso una indifferenziazione dei sessi e parla di una omologazione non solo delcomportamento ma anche della conformazione fisiologica.Cosa si può concludere? Le relazioni sentimentali e affettive (comprendiamo in queste anchequelle coi genitori e i familiari), mantengono una importanza fondamentale: i nostri giovani noncontestano la famiglia e non sembrano avere, come spesso si ritiene, un atteggiamento cinico neiconfronti degli altri. Al contrario, sembra emergere una sopravvalutazione forte delle relazioni allequali si dà anche un grande significato simbolico e alle quali si affida la propria speranza difelicità. La forte fragilità delle relazioni non può essere attribuita solo alla mancanza di volontà deiprotagonisti (un punto di vista, quello volontaristico, piuttosto diffuso in ambiente cattolico). Lascarsa maturità con la quale si affrontano le relazioni deriva piuttosto dalla mancata educazione(oggi l’educazione sentimentale è affidata, come ricordato, ai talk show televisivi e alla letteraturadi genere) e dal fatto che, venuto meno il sostegno del contesto sociale, queste sono affidatesemplicemente alla buona volontà delle due persone interessate. Infine, la divisione tra sesso,sentimento, istituzione, relazione rende molto complicato e difficile il percorso dei giovani versouna propria collocazione sentimentale definitiva. Ma mi pare che queste dimensioni siano appunto,quelle sulle quali occorre avere un preciso progetto educativo.
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Anna Casella Paltrinieri
Docente di Antropologia culturale ed EtnologiaUniversità Cattolica del Sacro CuoreMilano
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