Amarcord… quando cominciammo a parlare di coeducazione

[di Lucio Costantini]

Roberto è un giovane capo pieno di entusiasmo. Di tanto in tanto non manca di cercarmi, desideroso di cucire frammenti di storia di scautismo a lui del tutto sconosciuti. Il nostro conversare scivola sulla coeducazione.

Il suo sguardo esprime stupore quando gli dico che il nostro scautismo – quello di parecchi anni fa, intendo – era tutto maschile. Le ragazze, aggiungo, praticavano il guidismo. Le due associazioni, l’Asci e l’Agi vivevano realtà separate per con una comune finalità di intenti. “Ma… come facevate? – mi dice – Mi sembra incredibile! E quand’è che le cose cambiarono?”. La sua curiosità sollecita risposte più complete. Gli chiedo di darmi del tempo: intendo procurarmi un documento che mi consenta dirgli di più.

Ci rivediamo di lì a qualche giorno. Tra le mani ho un fascicolo dalla scrittura azzurrina tirato col ciclostile ad alcool, roba da preistoria. E’ la sintesi di un convegno, organizzato dal “Commissariato provinciale” dell’Asci udinese tenutosi nel settembre 1970 a Gemona del Friuli (che diverrà tristemente nota qualche anno dopo per il disastroso terremoto, ma anche per la successiva, totale ricostruzione e… per il fattivo intervento di quasi 7000 scout). A me, che allora avevo 23 anni ed ero maestro dei novizi e a Letizia Rovere, una capo reparto dell’Agi di Udine, venne affidata una relazione sul tema della coeducazione.

Venimmo scelti perché lei era un’apprezzata insegnante e io cominciavo a balbettare qualcosa di psicologia. Era la prima volta che un capo di un’associazione maschile e una capo di una femminile si presentavano insieme per trattare un tema anticipatore di un cambiamento di rilevante spessore in campo educativo. L’iniziativa del locale Commissariato era la risposta concreta alla sollecitazione di una commissione composta da consiglieri nazionali dell’Asci e dell’Agi che l’anno prima si era assunta il compito di inquadrare, studiare e far approfondire in tutti i gruppi della penisola il fenomeno della coeducazione intesa come un’opportunità per “proporre medesime esperienze realizzando attività comuni a ragazzi e ragazze”.

Fu un lavoro paziente e capillare, non scevro da perplessità, timori, incomprensioni, prese di posizione pro e contro che si riverberarono ben oltre la fusione tra le due associazioni. Fino ad allora – la nostra società stava rapidamente cambiando, riflesso dei mutamenti marcati in atto nei paesi più industrializzati – le due associazioni scout si erano semplicemente ignorate, paghe entrambe dell’applicazione di due metodi vicini, ma non eguali, ancora frutto del pensiero originario di Baden-Powell ed espressione di un contesto sociale, scolastico ed ecclesiale in cui i ruoli maschile e femminile erano marcatamente distinti.

Tuttavia i contatti e le attività in comune tra le due associazioni, almeno a livello di clan/fuoco, si stavano moltiplicando un po’ ovunque, segno che le istanze che avrebbero portato nel 1974 alla fusione tra Asci e Agi erano un segnale da cogliere.

Il tema affidatoci era del tutto nuovo per noi, al punto che, oltre a scomodare il pensiero di antropologi di spessore, quali Margaret Mead, per poter cogliere il significato dei ruoli maschili e femminili che in diverse società primitive erano felicemente interscambiabili, andammo a cercare una definizione il più possibile completa di coeducazione, non nel senso generale, ma in quello applicato altrove nello scautismo. Demmo un’occhiata a quanto facevano i nostri fratelli d’oltralpe e ci parve esaustiva la definizione data dagli Eclaireurs ed Eclaireuses de France, associazione nella quale la coeducazione era già in atto: “L’educazione in comune delle ragazze e dei ragazzi, l’educazione reciproca degli uni per mezzo degli altri, nella prospettiva della preparazione ad una vita dove la qualità della relazioni tra uomini e donne (a tutti i livelli) condiziona la felicità e lo sviluppo individuale e collettivo”.

Alle nostre parole seguì un attento approfondimento in piccoli gruppi, che poi si espressero con una sintesi che merita di essere riportata per indicare che l’attenzione a un fenomeno ancora tutto da esplorare era stata notevole: “Se coeducazione ha da essere, ben venga, a patto però che essa investa tutto il ciclo di sviluppo della persona, quindi l’intero arco lupetto – esploratore – rover, altrimenti sarà una cosa fatta perché la moda la impone, realizzata con esitazioni e con paura dell’assunzione della responsabilità (notevole) che essa comporta”.

In qualche modo avevamo anticipato i tempi, dato che i primi suggerimenti che vennero dal Consiglio Nazionale congiunto di Asci e Agi nel 1972 invitavano a far muovere i primi passi innanzitutto alla Comunità Capi; da lì il riverbero e l’applicazione nelle branche. Da un lato, in buona sostanza, sentivamo l’esigenza di introdurre un modo del tutto nuovo di fare educazione, dall’altro ci si preoccupava di applicarlo con gradualità.

Le nostre riflessioni si tradussero in note costruttive: “La coeducazione produce un arricchimento della personalità e un reciproco completamento (…). All’applicazione della coeducazione non vi sono controindicazioni di principio. Tuttavia andranno osservate alcune condizioni: a) preparazione e senso di responsabilità dei Capi; b) gradualità e rispetto delle esigenze locali nel passaggio alla coeducazione; c) non esagerare giungendo all’eccesso opposto: le attività separate restino ancora prevalenti, soprattutto dopo la prima branca, perché ciò risponde alle esigenze degli adolescenti; d) attenzione nell’età del Riparto (allora si chiamava così, con la “i”. NdA), data la diversità (che però tende a ridursi), dei tempi e dei ritmi di sviluppo dei due sessi”.

Rileggendo queste parole a distanza di anni non manco di stupirmi – anche Roberto lo è mentre scorriamo insieme il documento – perché in esse trovo una capacità di attenzione pedagogica non solo verso l’oggetto della discussione, ma soprattutto nei confronti del ragazzo, segno che il messaggio di B.-P., tradotto nel metodo, che poneva – e pone – il ragazzo al centro del processo educativo, era stato ben recepito dai capi.

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti; la nostra Associazione vive con naturalezza la coeducazione, spero nella consapevolezza che è uno dei modi, non il solo, per educare insieme ragazzi e ragazze.
Resta da capire – non mi consta vi siano stati degli approfondimenti al riguardo – che cosa delle peculiariarità del guidismo e dello scautismo andò allora sacrificato convergendo quanto a contenuti verso un metodo che fosse valido per maschi e femmine. Però questo è un altro discorso…

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