Accoglienza e relazione

di Padre Roberto Del Riccio

Assistente Ecclesiastico Generale

L’accoglienza di una o più persone è sempre un evento relazionale. Anche quando è rifiutata, la richiesta di essere accolti implica una relazione, che nel caso del rifiuto è negata. Ci chiediamo, come c’entra Dio in questo particolare tipo di evento? La domanda, si badi bene, non è “cosa” c’entra Dio, perché dal nostro punto di vista, quello della vita cristiana, certamente Dio ha a che fare anche con la dinamica dell’accoglienza. Noi, qui, ci stiamo chiedendo “come” Dio sia coinvolto. Ci interessa cioè capire la maniera, in cui egli è presente nell’evento dell’accoglienza di altri esseri umani, offerta o negata.

Una prima situazione che ci aiuta a capire è quella di Abramo. È un caso per noi esemplare, perché Abramo, come ciascuno di noi, è caratterizzato da positività e negatività. Egli non è solo un uomo di grandi qualità e desideri, aperto al futuro, disponibile ad ascoltare la voce di Dio (Genesi 12, 1-6), generoso con gli altri (Genesi 13,1-13) e coraggioso (Genesi 14,1-16), ma è anche un individuo pauroso, manipolatore, pieno di pregiudizi (Genesi 12,10-20), pavido (Genesi 16,1-6) e contraddittorio (Genesi 20). Di quest’uomo si racconta che Dio un giorno gli apparve «mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno» (Genesi 18, 1-2). Potremmo con ragione notare che a nessuno di noi Dio è mai apparso. Il fatto è che nemmeno Abramo di per sé vede Dio, perché egli «alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui». Abramo vede tre viandanti e non sa che essi sono Dio: vede solo tre esseri umani. Non era Dio? Lo è, ma lo sappiamo solo noi e il narratore che ce lo sta raccontando. Abramo non lo sa, li crede tre uomini e, fino a quando starà con loro, continuerà a considerarli tali. Il racconto prosegue descrivendo il tanto spendersi da parte di Abramo, affinché i tre uomini possano essere da lui accolti nel migliore dei modi: insiste perché si fermino, li fa accomodare all’ombra, prepara loro da mangiare, coinvolgendo anche la moglie Sara e altri della tribù, trascorre del tempo con loro, tenendogli compagnia, mentre mangiano.

Dunque, Dio è stato generosamente accolto. Se però in punto di morte il Signore dicesse ad Abramo «sia tu benedetto, perché mi hai accolto e dedicato del tempo, dandomi da mangiare e facendomi compagnia durante il mio pasto», Abramo risponderebbe «quando Signore, ti ho accolto, dato da mangiare e fatto compagnia?». Non ci ricorda qualcosa questa domanda? Si, è la stessa che troviamo nella parabola detta del “giudizio finale”, che Gesù racconta, per spiegare ai suoi discepoli in base a cosa potranno capire, se nella loro concreta esistenza di ogni giorno sono o non sono in sintonia con lui (Matteo 25,31-46). È la domanda che nella parabola gli uomini pongono al Figlio dell’Uomo, figura di Dio, dopo che egli li ha giudicati sulla base di quell’accoglienza a lui offerta o negata. Sia coloro che si sentono dire di averlo accolto, sia quelli ai quali è detto di averlo rifiutato, pongono la stessa domanda: «Signore, quando ti abbiamo visto» e ti abbiamo o non ti abbiamo accolto? Entrambe le categorie di persone hanno la stessa difficoltà, che esprimono più o meno così: «Noi abbiamo visto persone affamate, assetate, straniere, nude, malate e carcerate; alcuni di noi hanno offerto loro accoglienza, altre gliela hanno rifiutata; nessuno di noi, però, ha visto te e ti ha fatto qualcosa di tutto ciò». Questa loro richiesta di chiarimento riceve una precisa spiegazione: «Ciò che avete fatto o non fatto ad uno solo di questi più piccoli, l’avete fatto o non fatto a me» (Matteo 25, 40.45). Dal nostro padre nella fede Abramo a Gesù di Nazareth il modo in cui Dio è presente nell’evento dell’accoglienza offerta o negata è sempre lo stesso: si vedono persone bisognose, se si accolgono o si rifiutano, si accoglie o si rifiuta Dio.

C’è però da evidenziare una novità contenuta nel racconto del giudizio finale narrato da Gesù rispetto a quello dell’incontro di Abramo con i tre uomini. Questi ultimi, come ci è raccontato, sono Dio che appare ad Abramo, “nascondendosi” nella forma dei tre viandanti. Al contrario, nella parabola di Gesù le persone bisognose non sono Dio, sono proprio e soltanto uomini, donne, bambini, che necessitano di essere accolti. Per Gesù, dunque, il modo di Dio di essere presente nell’evento dell’accoglienza non si limita ad alcune situazioni eccezionali, in cui la divinità “si nasconde” in qualcuno, rendendolo degno di essere accolto. Neppure chiede di fare diventare Dio ogni persona alla quale offriamo o neghiamo accoglienza. Portando alle estreme conseguenze la storia di Dio con l’umanità Gesù ci dice che Dio è Dio e gli uomini sono uomini. La sfida che Gesù ci lancia è un’altra. È credere che la relazione di ciascun uomo con Dio passa attraverso la relazione tra l’uomo e l’uomo. Dio è presente nell’evento dell’accoglienza, perché quando si accoglie chi ha bisogno, si fa del bene a un concreto qualcuno, che il Signore ha scelto di amare, dando se stesso fino a morire per lui: «Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 lettera di Giovanni 4,20).

[Foto di Martino Poda]

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