PROGETTO DEL CAPO

di Marco Moschini e Annalisa DeMuro Incaricati nazionali alla Formazione capi

Lo strumento che dà il ritmo

Stare al ritmo del servizio ci rinvia a una metafora che è veramente preziosa e che mostra lo stile corretto della formazione al e nel servizio. Stare al tempo e al ritmo è una immagine musicale che ci dice che si deve prestare attenzione a ciò che si ascolta, a ciò che viviamo, a ciò che ci è richiesto. Sono tre azioni che definiscono i momenti preliminari di un atto che ciascun capo deve saper esercitare, per accrescere la sua azione educativa. Tre dinamiche che vanno esercitate e affinate: accrescere la capacità di “ascoltare” me stesso, gli educandi, il territorio, il mio tempo; valorizzare l’esperienza personale nelle relazioni che vivo; valutare come vivo questa esperienza, quali valori sono a misura del mio impegno.

Sono anche le tre dimensioni che aiutano a far emergere le mie doti ma anche a fare chiarezza dei miei bisogni come educatore; io non sono un qualcuno già arrivato (mai lo siamo) e per fare bene il mio servizio ho bisogno di ridiscutere sempre le mie capacità e i miei limiti, e ciò mai da solo.

Ho la necessità di specchiarmi e condividere con gli altri con i quali vivo il servizio, questi tre tempi nella reciprocità e nello stile del discernimento. Insieme, infatti, siamo chiamati a rispondere adeguatamente alle richieste dei nostri ragazzi e ragazze; i quali esprimono sempre nel loro protagonismo, la profondità e urgenza delle loro domande, la concretezza dei loro impegni. I ragazzi hanno bisogno di una comunità i cui membri (tutti davvero) sappiano sempre ridiscutere e riposizionarsi rispetto a loro.

Al ritmo di questi tempi dobbiamo anche impostare il nostro cammino formativo. Riconoscersi, e riconoscere i nostri bisogni rispetto alla nostra azione educativa e a me stesso, implica anche individuare specifiche necessità formative. E formarsi vuol dire:

a) assumere su di sé una logica progettuale; individuare, in modo intenzionale, obiettivi, contenuti, metodi e verifiche di un percorso formativo che, ponendo al centro se stessi, ha cura di non dimenticare l’altro, gli altri (personalizzare non vuol dire autocentrarsi, ma mostrare come tu puoi avere cura dell’altro)

b) pensare di progettarsi in modo “aperto”: nel senso che, pur mettendo in conto tappe, spazi, tempi, di un intervento per lavorare su di sé e sul proprio profilo, debbo essere però disponibile sempre a lasciare spazio ad esiti possibili, ad eventi diversi, non preventivati e che chiedono un continuo ri-progettarsi.

c) essere disponibili a entrare nella dinamica di una circolarità tra idee, valori, azioni e valutazione (circolarità è proprio il tempo del ritmo… il punto finale è l’inizio dell’idea… per ricominciare in modo nuovo ma fedele).

Insomma, progettarsi non vuol dire pensare una linearità, ma vuol dire esprimere una disposizione continua alla verifica e al cambiamento per rafforzare l’offerta delle mie capacità, delle mie ideazioni, delle mie visioni, che non posso che compartecipare perché opero in un contesto di condivisione di mete e obiettivi, di azioni e sostegni, cioè in una esperienza di vocazione all’educazione.

Questa capacità di progettarsi ha uno strumento privilegiato che va custodito e curato: il progetto del capo. Un patrimonio formativo che la nostra Associazione ha sempre pensato come centrale e che nelle comunità capi dobbiamo valorizzare. Uno strumento da vivere in un’ottica dinamica e non burocratica. Sostanziale e non come una formalità. Uno specchio necessario su cui costruire ogni progettazione, attuazione e verifica del nostro percorso di capi. Uno strumento di cui non possiamo fare a meno e che è il più evidente elemento di raccordo tra l’azione educativa e le necessità formative di ciascuno di noi; strumento essenziale di formazione continua e permanente. È per questo che nel processo di riforma della foca dal 2017, passando per Foca 2.0, Binari 2021 sino ai recenti lavori della Commissione integrata di CG per la riforma, si è sempre messo in evidenza l’importanza di questo strumento di crescita di tutti i capi (vedi box). D’altronde il ritmo lo deve dare proprio uno strumento.

Verso il nuovo modello di Formazione Capi
Al Consiglio generale del 2020 è stato presentato il documento FoCa 2.0 e votato il documento Binari 2021 che ribadisce alcuni concetti del Foca 2.0. Nel 2022 le Zone hanno poi espresso le loro opinioni sull’argomento e su tali idee i consiglieri generali si sono confrontati. Ora, alla luce degli elementi sopra detti, la Commissione nominata da Capo Guida e Capo scout, in collaborazione con la FoCa nazionale e regionale, sta predisponendo il nuovo modello. Al centro la solidità del capo educatore, la formazione permanente, la dimensione comunitaria per una progettazione formativa personalizzata, il mandato educativo allo staff, l’importanza della formazione metodologica, momenti di formazione anche tarati su nuove esigenze dei capi e tanto altro. (Maria Paola Gatti)

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