Non solo comparse in processione

di Don Enrico Parazzoli

Ciao Capi!

Ieri sera – rientrando da riunione e soprattutto dalla discussione post co.ca. sull’antica questione “cosa fanno gli scout in Parrocchia?” – mi frullavano un po’ di idee in testa: così ho deciso di metterle per iscritto in forma sparsa e mandarvele. Vedete voi se possono servire e diventare occasione di ulteriore confronto.

Credo anzitutto di dover chiarire – a me e a voi – che nella Chiesa non dovrebbe essere importante quel che uno fa (come il titolo sul biglietto da visita), ma quel che uno è: radicalmente un discepolo, fratello/sorella di altri discepoli, aperto al mondo. Gli scout hanno la fortuna (e forse il privilegio) di percorrere sentieri di sequela fin da quando si è in Branco/Cerchio: perché trascurare il fatto che al centro di tutta l’esperienza di fede sta la scelta esistenziale di Cristo, il giocarsi perché si ama la sua vita e il suo stile pienamente umano? È un peccato rinchiudersi in categorie aziendal-clericali, dimenticando la bellezza e la libertà del mettersi in cammino dietro a Lui.

Essere nella parrocchia non vuol dire morire dentro al perimetro delle strutture e degli schemi mentali, ma far diventare strutture e ambienti interfacce di accoglienza: perché avere una ‘sede’ non deve rendere pigri ma spingere fuori, altrove, là dove nessuno pensa di andare, per aiutare qualcuno a ritrovare una ‘casa’ dove sentirsi voluto bene. Siate cordiali, allegri, ‘invitanti’: aiutate chi è più ‘ingessato’ nelle abitudini consacrate dall’uso a liberarsi di qualche rigidezza, spronate chi parla troppo a tacere e agire, recuperate l’arte antica di apprendere mentre si fa, che è in assoluta consonanza con la logica dell’incarnazione che sta al cuore della nostra fede. Abbiate mani e cuore aperti soprattutto a chi fa più fatica ad integrarsi, così tutti ritroveremo un po’ di spontaneità e immediatezza, che non fanno mai male. Siete esperti di strada: aiutate chi pensa che il cristianesimo sia fatto di planning pastorali, riunioni e fotocopie. Ma abbiate misericordia di chi fa i calendari e non improvvisate iniziative che nessuno sapeva ci fossero…

Siete esperti nel giocare, con una serietà che stupisce chi si limita a ‘divertirsi’ e non comprende che in ogni gioco si fanno esperimenti di vita: aiutate chi pensa che il Vangelo sia destinato a passare attraverso i volantini e gli inviti recapitati nelle caselle postali (o elettroniche). Date voce all’annuncio della buona notizia che Gesù passa ancora per strade e piazze e cortili!

La parrocchia – luogo dove tante ‘anime’ si incontrano e talvolta scontrano – vi chiede di essere capaci di dire la vostra, con uno stile integro ma non integralista: nessuno è portatore della verità, nessuno ha Gesù come proprietà esclusiva, nessuno esprime in sé (fortunatamente) tutta la fantasia creativa dello Spirito. La comunità dei credenti, imperfetti e sempre in ricerca, nasce dall’elaborazione comune dei sentieri che il Vangelo suggerisce per l’oggi, in un ascolto reciproco pieno di carità e in una testimonianza che osa prendersi la responsabilità di metterci la faccia (e il cuore). Perché essere credenti è essere pensanti: non per vezzo intellettuale, ma per l’integrità dell’esperienza cristiana che chiede all’intelligenza di servire l’annuncio del Regno di Dio. E questo non vuol dire saper di teologia, ma essere capaci di guardare il reale con occhi illuminati dallo Spirito.

Ricordatevi che la tradizione scout, con lo stile e i tempi che la contraddistinguono, serve essenzialmente a stare nella vita ordinaria: quella personale e quella di una comunità, civile o religiosa che sia. Certo, ‘in chiesa’ alcune cose appaiono ripetitive, talvolta spente. Ma sapete quanto conta il calore che uno porta dentro di sé, l’esserci da protagonisti, la disponibilità anche solo ad animare un canto o a leggere una pagina della Scrittura? Prometto che non vi faremo fare (solo) le comparse alla processione del santo patrono, ma… siateci a qualche eucaristia festiva, o a qualche celebrazione in cui la comunità adulta è chiamata, o a un ritiro parrocchiale. E così magari qualche vecchietta (ma non solo…) si stupirà di trovare un capo scout (senza uniforme) che attende fuori dal confessionale, che sale all’altare per fare la voce-guida o che prende parola a nome del Consiglio Pastorale.

E poi la cosa forse più importante: siate memoria viva che il tempo per il servizio non è un tempo che avanza da altro, ma un tempo che si sceglie di dedicare (forse potremmo dire consacrare) agli altri, anche con fatica ma senz’altro con gioia. Aiutate chi pensa che la carità sia un hobby per il tempo libero, quando uno ha fatto tutto quello che gli interessava fare. Perché questa cosa non è un ‘pallino’ degli scout, ma un distillato dell’esperienza di Gesù, che ha avuto tempo e animo e gesti per dire a chiunque quanto gli importava della sua vita, della sua storia, e quanto era prezioso agli occhi del Padre. Siete infatti esperti di un discepolato che non apprende solo delle ‘nozioni religiose’, cercando di riprodurle impeccabilmente, ma cerca coraggiosamente e pazientemente di seguire il Figlio di Dio, che si è sporcato piedi e mani con la terra dell’umanità.

Allora finalmente qualcuno in parrocchia intuirà che lo scautismo in parrocchia non è un corpo estraneo, o una pratica ludica estrosa, o una succursale del CAI, o un baby parking, ma – nei vostri occhi, nei vostri gesti, nelle vostre storie – una via di spiritualità cristiana, un modo vero e esigente di dire: il Vangelo c’entra con la vita, eccome!

Leggi per intero “Pontefici“, il numero di PE da cui è tratto questo articolo.

[foto di Rachele Fede]

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