La Zoom fatigue e quella voglia di stelle

di Valentina Enea

Quando nonno ci vedeva alle prese con pc e smartphone esclamava, sornione: «Fa pure il caffè?». In questa pandemia abbiamo fatto tutto al computer: dal lavoro agli esperimenti culinari, passando per i compleanni e l’Alta squadriglia, il volo e le Comunità capi. La parola, il tempo e lo spazio hanno cambiato valore. «Grazie al digitale, in pochi click, siamo potuti stare insieme. E sembrava davvero di stare insieme», ha notato fra Paolo Benanti, teologo e già Assistente regionale AGESCI Lazio, durante l’Assemblea diocesana della Chiesa di Bologna. In quarantena le piattaforme digitali sono state l’antidoto all’isolamento, mettendoci a disposizione un “surrogato della realtà”. Il cyberspazio, omologo e identico a se stesso in ogni latitudine e longitudine, ci ha permesso di partecipare alla Messa rassicurati dalla voce amica del nostro Assistente ecclesiastico. Siamo stati tutti a Palermo il 23 maggio per il corteo virtuale lungo le strade dell’Impegno e della Memoria nel 28° anniversario delle stragi di mafia. Tutti abbiamo vissuto la cerimonia di apertura del Consiglio Generale 2020… Poi i consiglieri hanno proseguito i lavori su Skype.
Ma il silenzio all’albero Falcone è stato interrotto da una notifica di WhatsApp. E la diretta Facebook, che tutte le domeniche terminava sull’accordo iniziale del canto finale, sapeva un po’ di incompiuto. Ci siamo accontentati, ci siamo dati da fare, ma qualcosa ci è mancato. Qualcuno sperava di trovare così la cura alla solitudine, ma non sempre è successo (giustamente!). La nostra realtà è stata spalancata dal digitale, ha traslocato tra display e tastiere. Senza di essi non avremmo informato la cittadinanza del Carrello Solidale e Letizia non si sarebbe laureata in tempo, così come aveva tanto desiderato. Matías, però, lo abbiamo visto una volta sola: i giga dell’unico cellulare di famiglia servivano anche per la didattica a distanza (e poi non riusciva a stare fermo neanche quando eravamo insieme in tana…).
Non tutto rose e fiori, insomma. Perché trasferire definitivamente la nostra vita e l’educazione sulle piattaforme non è possibile. Immaterialità e velocità ci rendono impazienti verso lentezze, gradualità, potenzialità inespresse, fragilità d’ogni tipo, producendo attese onnipotenti verso noi stessi e verso gli altri. Ce ne siamo accorti. Le nostre vite con la lontananza fisica hanno perso tridimensionalità forse, ma non complessità. Anzi! Ad esempio il divario tecnologico e la povertà di molte famiglie sono diventati evidenti. Abbiamo scoperto di soffrire di Zoom fatigue e desiderato di godere del silenzio, senza che questo creasse disagio nell’interlocutore. Teniamolo a mente: la tecnologia ci ha aiutato infinitamente e continuerà a farlo. A patto però, di imparare a vivere armonicamente reale e virtuale. Che significa non impigrirsi dietro a uno schermo se si può fare esperienza del reale, ma anche essere consapevoli di come oggi, attraverso gli smartphone, viaggi una parte importante di noi e dell’interiorità dei ragazzi che, sempre citando fra Paolo, «ha bisogno di essere curata, accompagnata e custodita, per evitare che siano altri i pastori di quella interiorità».
Umberto dovrà aspettare per il suo Cfm, ma intanto continuerà a far desiderare ai piedi teneri una notte sotto le stelle. Le Partenze e i passaggi di questo fine 2020 forse non saranno come le abbiamo sempre vissute, ma noi capi sapremo renderli veri, indimenticabili. È questa la vera sfida dell’educazione. Non solo preparare un domani, sempre rinviato e spesso “migliore”. Educare è dare senso all’oggi di ogni stagione della vita: che sia l’inverno di Meet e la primavera di GoogleDuo, l’estate tiepida del distanziamento sociale o il futuro che, fra reale e virtuale, comunque si apre!

[Foto di Andrea Pellegrini]

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