in ginocchiosull’asfalto

di Marco Angelillo

In un breve video pubblicato da Vatican News ho visto don Roberto Malgesini intento a medicare il piede di un senzatetto, di fronte alla chiesa di San Rocco, a Como, la sua parrocchia. Era in ginocchio sull’asfalto, sorridente e meticoloso: un’immagine semplice, evangelica e tattile dell’amore incondizionato che don Roberto sapeva donare al prossimo.

Ucciso a coltellate il 15 settembre scorso proprio davanti alla sua San Rocco da uno degli ultimi, cui aveva aperto spesso la porta, don Roberto è un martire dei nostri giorni. Ma non era un solitario. Attorno a lui, negli anni, si era formata una vera e propria comunità di volontari che moltiplicavano e moltiplicano ancor oggi il bene concreto e tangibile che riusciva a elargire: le 200-250 colazioni offerte ogni giorno a persone che spesso non trovavano nemmeno posto in un dormitorio, le giornate tra i detenuti del carcere del Bassone, l’istituto costruito lontano dagli occhi della città, oppure le corse all’ospedale Sant’Anna, il grande nosocomio dove il sacerdote accompagnava poveri o anziani con la sua Panda.

«Mi ha cambiato la vita, era un profeta contemporaneo», confessa Andrea Molteni, 27enne educatore di ragazzi disabili, già capo reparto e capo clan del gruppo AGESCI Como 45. «Ci ha insegnato cose straordinarie, l’amore per gli ultimi, gli scartati: poveri, vecchi, donne, bambini, migranti. Senza compromessi, senza pretendere nulla in cambio». Andrea continua il suo racconto a Proposta educativa e la sua voce, palpabilmente rotta dall’emozione, riesce a scaldare il cuore: «Don Roberto riusciva sempre a vedere in tutte le persone, anche le più disperate, una piccola scintilla di vita, che spesso nemmeno loro stessi riuscivano a scorgere». A Como ha custodito tante vite fragili, e Andrea lo testimonia: «Ha accompagnato fino alla morte chi era in strada, rompendo corazze di solitudine».

Il suo servizio, essenziale e silenzioso, era un pretesto per incontrare l’altro, mettersi in relazione, far toccare con mano una vicinanza fatta di gesti e di attenzioni, vivere il Vangelo. Amava i poveri nella carne, li serviva nel nascondimento. «Nei miei occhi e nel mio cuore sono indelebili le immagini dei suoi abbracci, della sua opera instancabile e quotidiana, il suo esserci sempre, per tutti”, continua Andrea. E ricorda le centinaia di arance spremute tutte le sere per preparare le colazioni del giorno successivo. «Non ha mai chiesto niente per sé. Mitezza e umiltà erano le sue doti migliori».

Il seme gettato da don Malgesini in terra comasca germoglia tutti i giorni: la sua opera di carità continua grazie a chi ha camminato con lui e a chi si aggiunge in questi mesi, come quel pasticcere della città che a Natale ha donato ai poveri di Como profumatissimi panettoni artigianali con crema di pistacchio. Alcuni dormitori invernali sono stati aperti dopo la morte del sacerdote, ma tra le 50 e le 70 persone continuano, per scelta o per mancanza di alternative, a dormire senza un tetto.

Laura, che ha seguito il don per dieci anni e che ora ha preso in mano il gruppo di volontari, ha dichiarato ad Avvenire che «don Roberto era una persona lieve». Come la neve della sua Valtellina, che scende piano, senza fare rumore, ma da un giorno all’altro cambia radicalmente il paesaggio. Un’ultima immagine: Il Settimanale, periodico della diocesi di Como, ha pubblicato recentemente una foto di don Roberto su una barca, mentre regge un salvagente, con la croce di legno al collo: per credere davvero occorre navigare nel fiume della vita, pronti a gettare una ciambella in acqua. Per salvarci e per salvare chi la afferra, però, ci si deve mettere in gioco, come ha fatto il sacerdote sceso dalla valle alla città: con le mani e con il cuore.

[Foto del Settimanale della Diocesi di Como]

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