Basta guardarli

di Alessandro Vai

Osservando i cambiamenti la fatica e il godimento dei ragazzi capiamo chi sono

Volgere lo sguardo verso il fondo del gruppo al primo tornante della giornata non è molto difficile. Farlo invece con ore di cammino sulle gambe, il mal di testa insorgente per i pochi zuccheri in corpo e l’ansia che monta per non aver ancora trovato un anfratto adatto alle tende è ben diverso.

Quando diciamo «cammina al passo del più lento!» dovremmo aggiungere, «quando sei stanco». Perché da motto questa frase diventi educazione è necessaria la mediazione del nostro corpo, meglio se quando non è al massimo delle sue forze. Perché è proprio allora che il carattere si mostrerà in quanto tale.

L’album dei ricordi della nostra storia scout ha tutta una dimensione aggiunta di percezioni e sensazioni, che nascono dalla risonanza tra la natura e il nostro corpo. Penso alla mia voce che si somma alle altre al primo fuoco di bivacco, all’umido – ovunque – dell’angolo di squadriglia dopo un paio di giorni di pioggia al campo, al calore di un bacio tanto atteso in una notte di reparto. A tutto ciò si somma il nostro vissuto di capi, dove un corpo che cambia – o dovremmo dire invecchia? – si ripropone nel medesimo tipo di esperienza, ma in momenti diversi della vita. Corpo che non è mai isolato agli scout, ma sempre in relazione con altri. Una comunità che è innanzitutto fisica, tutta azzoppata alla prima caviglia slogata di un rover in route, così limitata infatti in queste nostre attività durante la pandemia.
Per noi e per i ragazzi che accompagniamo, il corpo è quindi il luogo dove avviene la mediazione della proposta scout. Della Promessa, della Legge, della carta di Clan. Del Vangelo e della Costituzione prima ancora. Le contraddizioni della tensione tra ideale e reale si palesano tutte qui, nel corpo, descritte come passi di un percorso di crescita dalla morale positiva del nostro metodo. Anche da educatori viviamo queste contraddizioni. Come giovani capi sentiamo molto forte – e a buona ragione – il richiamo dell’ideale. Accusiamo la pressione per fare attività formalmente ineccepibili. Vogliamo i pezzi del puzzle a posto, con progetti e programmi ben pensati. Ma qualche anno di servizio ci porta a rivalutare l’importanza della lettura delle dinamiche del corpo dei ragazzi. Osservarli ci aiuta a capirli, al di là delle parole – qualche volta di troppo – nostre e loro. Troppi lupetti che volano per terra come stelle cadenti sono segno che la giornata di campo è da chiudere al più presto, sicuramente rimandando il gioco notturno. Repentini cambi di look della nostra guida perfetta dovrebbero suggerirci che forse qualcosa, da qualche parte, sta cambiando nella sua vita. Il corpo è anche il luogo dove chiedere ai ragazzi di verificare la parola data e il loro impegno. Il servizio è quanto tempo hai speso, quante volte hai posto il tuo corpo vicino a chi desideri aiutare. La postura durante un momento di deserto riflette la predisposizione d’animo con cui ci si avvicina. Non rimprovereremo alcuno per non aver pregato, ma per aver dormito durante il deserto quello sì.

Non solo osservare ma anche pensare a spazi, tempi e linguaggi delle nostre attività con intento educativo. Predisponiamo per il riposo spazi separati per genere e utilizziamo i bagni a turni. Viviamo il tempo del contadino durante i campi. Sfruttiamo le ore di luce, facciamo attività tranquille nei momenti più caldi, andiamo a letto presto. Ricordiamoci che corpi di diverse età hanno bisogno di tempi di riposo diversi. E così anche noi capi, per una settimana, possiamo abbandonare ritmi esasperati e svaghi notturni delle nostre vite feriali. Infine prendiamoci cura del nostro linguaggio, sia con in nostri partners in servizio che verso bambini e ragazzi. Che fatica essere d’esempio anche qui! Con i nostri difetti, vizi, limiti, il nostro corpo ci presenta. Ma è proprio con questo corpo che serviamo il nostro fratello e preghiamo Nostro Signore, nonostante tutto. E scusate se è poco.

[Foto di Nicola Cavallotti]

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