ANNUNCIO SÌ O ANNUNCIO NO

di Anica Casetta e Nicola Cavallotti

Il “Si è sempre fatto così” non funziona

Il mio racconto può veramente essere annuncio?
Se racconto di me e Dio, di me + Dio, di me vs Dio… sì!

Non sono un ambasciatore di quelli che non portano pena, che uno vale l’altro, ma uno di quelli vivi, meravigliati, scorati, arrabbiati, sospesi, fiduciosi. Il racconto è della mia relazione con Dio, intima, privata tanto che a volte a parlarne mi blocco, la voce mi trema, il cuore anche e magari penso «Che figura…». Già, che figura meravigliosa, di una relazione con Dio viva che muove e fa muovere, e non solo me.

Se racconto solo me… no.
L’annuncio non è il mio momento. Non sto condividendo il mio Progetto del Capo, non sto spiegando chi è Dio, ma è l’occasione per raccontare come io abbia provato a coltivare il seme dell’annuncio che ho ricevuto e che cosa adesso esso sia.

Se racconto racconto… sì!
I capi della branca L/C lo sanno e lo sperimentano. Raccontiamo perché il tempo che offriamo, le nostre parole, e non quelle di altri, scelte tra attenzione ed emozione donano a chi è con noi lo spazio per esserci nel nostro racconto, per esplorare e curiosare tra le nostre parole, i nostri sospiri, le nostre pause, i nostri slanci.

Se racconto facendo la parafrasi del Vangelo… no.
Fa un po’ interrogazione, in cui ripeto quanto letto e riletto cercando di essere il più possibile aderente al testo originale, ma cercando di non ripetere a memoria (che non fa una gran bella impressione). Che cosa ne esce? Ansia da prestazione e un tentativo maldestro di essere il quinto evangelista. Che cosa arriva? Niente di mio e niente di Suo. Il deserto.

Se racconto e resto lì… sì.
Qualcuno sta curiosando nella mia storia e magari vuole guardarmi negli occhi per scavare ancora un po’ o ha bisogno di tempo per accogliere quel dono appena scartato o desidera aggiungere qualcosa di suo, iniziando a raccontare la sua storia. Vi sarà capitato di cimentarvi in quel gioco in cui si costruisce un racconto, il più delle volte strampalato, con il contributo di tutti, un paio di frasi ciascuno? Ecco, il mio annuncio è lì per offrire uno spazio, un LA al racconto e all’annuncio di altri e poco importa se ne esce qualcosa di un po’ strampalato, intanto c’è!

Se racconto e scappo… no.
È un passo e chiudo. Marco Balzano ragionando sul termine parola ci dice che «La parola è una parabola, un suono che fa un percorso da chi lo pronuncia a chi lo ascolta […] … solo quando la parola è compresa dall’altro la parabola è avvenuta e crea un ponte che istituisce un legame. Da questo momento sarà abitata da entrambi, da chi la lancia e da chi la raccoglie, sarà cioè diventata un territorio comune». Se scappo, il territorio comune sarà disabitato: un’incredibile occasione persa.

E le attività di catechesi, i momenti di preghiera…?

Se ascolto e rilancio… sì.
L’ Ask the boy va fatto scendere in campo anche qui, ben allenato e cosciente che conoscere è indispensabile per scegliere, che la testimonianza è l’asso di denari, che serve pensare a uno “spazio” per tutti e che io non posso chiamarmi fuori.

Se continuo imperterrito con quanto sempre fatto… no.
È un po’ come se mi muovessi nella relazione con mio marito nello stesso modo in cui l’ho fatto nella relazione con il mio primo moroso. Nulla è immutabile nel tempo e nello spazio delle relazioni (per fortuna). A noi l’arte di cogliere il cosa e il come che possano dar senso, pienezza e spazio di crescita alla relazione con Dio.

Se la routine rassicura e stimola… sì.
Ci sono momenti che si cercano perché sappiamo essere occasioni importanti di preghiera o di riflessione personale o di confronto. Si aspettano e se ne apprezza il valore, a volte ci prepariamo per arrivarci pronti a cogliere il meglio. E io capo osservo e indago con discrezione per capire se questa tensione positiva tiene.

Se la routine svilisce… no.
Sto iniziando a sviluppare un’intolleranza al canto prima di mangiare (che gli ultrà a confronto sembrano un coro di voci bianche), al Padre Nostro a conclusione della riunione (come mossa salva coscienza del capo) e a tutte quelle routine che del loro originario senso non mantengono più traccia. Cerchiamo delle alternative, anzi costruiamole, magari con i ragazzi, non perché bisogna, ma perché crediamo siano passi nella nostra strada.

L’annuncio è un luogo e uno soltanto o invece è tanti? Qual è il suo “dove”?
Se è la relazione a definire quel luogo … sì.
Dio è presente in ogni incontro autentico, e ciascuno di essi è situato, ha sempre un dove: la relazione con Dio trova una sua dimensione anche a partire dal luogo in cui si esplica. L’annuncio è un’armonia che in cerchio si canta e davanti al fuoco ci unisce, è una preghiera condivisa in un bivacco freddo e buio, come una promessa ripetuta in tana mentre fuori piove. Di luoghi vive la relazione, anche in questo mondo sempre più virtuale.

Se è un angolo … no.
Non è più diffuso ma relegato, è uno scomparto da aprire all’occorrenza, una sfera circoscritta dell’esperienza che livella le relazioni riducendole a momenti precisi, ad “angoli”. Apriamo l’annuncio a tutti i luoghi delle nostre attività dove può innescarsi l’intimo rapporto con Dio. Non dove ma come annunciamo e… cosa è annuncio per noi?

[Foto di Nicola Cavallotti]

Un commento a "ANNUNCIO SÌ O ANNUNCIO NO"

  • comment-avatar
    Maria 24 Maggio 2023 (21:03)

    Annunciò si

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