Addomesticare i limiti

di Chiara Benevenuta

#raccontamiunastoria

Chiara ci racconta la sua esperienza, dimostrando che la vita è più grande, più forte, più affascinante di ogni nostra paura.

Sono Chiara, ho 31 anni, sono sposata da due, lavoro come medico specializzando all’ospedale pediatrico di Torino, sono capo gruppo del Rivoli 4. In Associazione sono capitata a 8 anni, e da lì in poi sono rimasta catturata da questo mondo di gente allegra e appassionata. Tra le cose più divertenti metto sicuramente il servizio in branca L/C ed R/S, nel Progetto Sarajevo e nella Formazione capi.

Mi hanno chiesto di scrivere queste righe perché a 20 anni, al CFM, sono scivolata da troppo in alto e mi sono rotta spina dorsale e midollo, perdendo la possibilità di muovere e sentire le gambe. Ecco quindi alcuni piccoli pensieri sparsi messi insieme in questi (quasi) undici anni di rotelle, di gradini e di amici che me li fanno superare.

 

1- alla mia seggiolina voglio bene (forse non sembra, ne ho già distrutte 3, ma credo di aver trovato quella buona): mi porta dove dico io, è leggera e snella, è il mio strumento di libertà. Questo lo vedono bene tutti i miei piccoli pazienti, che si incuriosiscono, vogliono toccare tutto, spingerla, provarla (“adesso facciamo cambio, dottoressa: io mi siedo e tu mi spingi”… con relative madri viola di imbarazzo). I “grandi”, invece, a volte si fissano nella modalità “poverina-guarda-che-sfiga”, quasi una sedia a rotelle fosse una punizione e non un aiuto.

 

2 – sempre sulla mia seggiolina – senza dubbio, è il segno concreto della fatica che faccio a vivere… ma chi di noi non fatica? quanta sofferenza portiamo silenziosamente, sforzandoci, anzi, di nasconderla agli altri, nell’illusione di mostrarci invincibili? Con il tempo ho realizzato che quando le difficoltà sono evidenti, proprio allora possono diventare più lievi, perché altri possono provare ad alleggerirle. Credo ci voglia, per tutti, uno sforzo di trasparenza e di semplicità, per amare noi stessi e mostrarci agli altri per quanto belli e fragili siamo.

 

3 – Non si può fare tutto, nessuno può. Chiedere aiuto però apre molte porte, sia metaforicamente sia in situazioni estremamente concrete. Le scale della metropolitana di Parigi, dove ho vissuto un anno in Erasmus, sono state affrontate con l’aiuto di passanti sconosciuti, “spintaneamente” arruolati per l’impresa. Non so quanti sentieri ho fatto a spalle di amici forzuti. Fare pipì lontano da casa ha sempre richiesto sforzi creativi, ma le mie preferite restano le toilette della Bosnia Erzegovina, di cui risparmio i dettagli. Credo di aver fatto benzina da sola al massimo un paio di volte (ma questa si chiama pigrizia). Eccetera. Chiedere, chiedere, chiedere. “Chiedete e vi sarà dato… se non per amicizia, almeno per la vostra insistenza”. Certo, chiedere stanca, e io non chiedo per saggezza raggiunta, ma perché non posso fare diversamente. Però ancora una volta questa situazione contingente mi costringe a fare passi avanti salutari per la mia vita, ed in questo senso è una grande ricchezza, una condizione privilegiata.

 

4 – Quello che non si conosce fa paura, ma la vita sa addomesticare (quasi) tutto. In particolare, vivere senza camminare è molto meno tragico di quanto possa sembrare. La quotidianità vuole i suoi spazi e i suoi ritmi, ma scorre tranquilla. Studiare, lavorare, guidare un’auto o prendere i mezzi, vivere le attività con i ragazzi…tutto si riorganizza. E i sogni più pazzi si rincorrono con un po’ di fantasia, di creatività, di follia, insieme a chi ti vuole bene. Il mondo lì fuori è tutto da esplorare, e una vita sola non so se basterà.

 

5 – La vita è sempre più grande, più forte, più affascinante di ogni nostra paura. Nei mesi di ospedale sono stata letteralmente annegata dalla vita che decine di amici ogni giorno hanno portato nella mia stanza: amici quotidiani, che venivano a mangiare un panino, a chiacchierare, anche a studiare per qualche ora, amici lontani, che hanno preso treni e persino aerei per farmi sentire amata. La mia famiglia. Di quel periodo, che visto da fuori avrebbe potuto essere la fine di tutto, ricordo solo un’enorme onda di affetto. “Forte come la morte è l’amore”, dice la Scrittura nel Cantico dei Cantici. Quando tocchi un Amore così, non c’è dolore, non c’è morte che possa spegnerlo. La vita vince. L’amore vince. Cristo è risorto. Io so dirlo solo con queste parole qui, ma so che già non bastano:

 

“Ognuno di noi esiste in virtù di altri, e non solo perché da altri è stato generato, ma perché da questo mondo sarebbe presto uscito, così come vi è entrato, se non fosse stato accolto, cresciuto, da qualcuno a suo modo amato. Nessuno di noi sarebbe al mondo se qualcuno non ci avesse preso in carico, non se ne fosse assunto la responsabilità (…) Assumere consapevolmente la propria finitezza significa sentirsi grati e in debito. Un debito che non si salda mai volgendosi indietro, ma nella sovrabbondanza del dono, nel trasmettere quel che si è ricevuto, nel generare ancora e di nuovo la vita. In questo senso e per questa ragione dobbiamo sentirci responsabili del futuro e farci garanti perché sia migliore. Una responsabilità, così vissuta, sbocca in una superiore pietà, in un amore per la specie e, nel nostro caso, per la nostra umanità”.

Salvatore Natoli, Parole della filosofia, Milano 2004

[foto di Martina Mattalia]

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